20 novembre 2018
L’avvento della quarta rivoluzione industriale (Industria 4.0) sta guidando imprese (pubbliche e private) verso una nuova dimensione, che ha profondamente modificato i paradigmi tradizionali del mercato del lavoro.
Le nuove tecnologie rendono possibile ciò che prima pareva impossibile, è vero, ma rappresentano “solo” gli strumenti attraverso i quali giungere a nuovi approdi. Anch’esse, dunque, necessitano di risorse adeguate a rendere al meglio. Quando parliamo di Cloud, IoT, Mobile, Analytic, Blockchain, AI, poniamo come caposaldo della nostra argomentazione un dato evidente, ovvero l’impatto sempre più importante della “componente digitale” sul panorama attuale, in particolar modo sul mercato del lavoro.
Oggi il digitale emerge come elemento chiave in tutti i mestieri, vecchi e nuovi. Il contesto attuale dimostra come, a fronte di una domanda crescente di risorse skillate e adeguate alle nuove esigenze della digital transformation, l’offerta risulta ampiamente insufficiente con previsioni future tutt’altro che rincuoranti.
Stiamo contribuendo alla crescita di un deficit che rischia di divenire un’emergenza globale nei prossimi anni: il digital gap. Il digital gap corrisponde alla mancanza di competenze digitali disponibili rispetto a quelle richieste dal mercato del lavoro. Può sembrare un paradosso in un contesto come quello attuale, ma mancano le risorse, mancano le persone che possiedano le capacità digitali che aziende, operatori ed organizzazioni, oggi, cercano.
Un problema tangibile che ha investito anche la Commissione Europea e il Forum Economico Mondiale (WEF). Dal 2016 è stata avviata una consultazione per le competenze e le occupazioni digitali tra Stati membri dell’UE, imprese, parti sociali, ONG e operatori del settore dell’istruzione. L’obiettivo è proprio quello di ridurre il digital skills gap a tutti i livelli, dalle competenze specialistiche di alto livello a quelle basiche, indispensabili al nuovo cittadino europeo digitale.
Il gap di competenze digitali è un problema sociale ed istituzionale. Servono, quantitativamente e qualitativamente, persone capaci di capire a fondo le potenzialità innovative del digitale, per accedere ai vantaggi tattici e strategici (e quindi competitivi) del digitale per le aziende. In un contesto di ricambio in cui molti lavori stanno morendo, altri lavori si stanno evolvendo, nuovi lavori stanno emergendo il “deficit umano” di risorse con competenze digitali e tecnologiche di questo tipo toccherà le 830.000 unità entro il 2020 (dati UE).
Le digital skills richieste in questa fase di transizione sono legate, in particolar modo, all’ICT e al Web, all’evoluzione delle Telco e ai vari canali di produzione, distribuzione, vendita, marketing, comunicazione e di servizio.
Sempre più aziende sono alla ricerca di sviluppatori, data scientist, sistemisti, machine learning specialist, analisti, ingegneri informatici, ingegneri robotici, social media analyst, e specialist, esperti di cloud, cybersecurity e della blockchain.
È la stessa Commissione Europea a porre l’accento sulla difficoltà per le aziende nel reperire specialisti ICT. Entro il 2020 saranno più di 500mila i posti di lavoro vacanti in questo ambito. La domanda di competenze qualificate STEM, (Science, Technology, Enginnering e Mathematics) supera abbondantemente l’offerta già oggi e la tendenza, come anticipavamo, propende verso una crescita esponenziale del gap.
Scuole ed università, in Italia più di altri Paesi, faticano a rendere l’offerta formativa appetibile per queste nuove esigenze del mercato del lavoro.
Il rischio è di “produrre” laureati senza strumenti adeguati. I dati lo confermano:
(Fonte: report “Il futuro è oggi”, University2Business).
Le aziende hanno adottato i principi dell’Open Innovation per iniziare a ridurre la forbice, trovando risposte importanti.
L’innovazione aperta è un nuovo approccio strategico e culturale in base al quale, per essere competitivi, per creare più valore e rendersi appetibili sul mercato, non si attinge più solamente a idee e risorse interne, ma anche a idee, soluzioni, strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, in particolar modo da startup, università, istituti di ricerca, fornitori, inventori, programmatori e consulenti.
Gli specialisti, infatti, possono essere selezionati e scelti indipendentemente da dove si trovino. In questo modo si è iniziato a compensare il digital gap, ma non è sufficiente.
Nei prossimi anni circa il 90% dei “mestieri” presupporrà un bagaglio digitale acquisito. C’è bisogno di un intervento strutturale, che investa tutti i livelli della questione, a partire dall’istruzione e che non può essere, evidentemente, delegato alle iniziative singole delle aziende.
Danilo Stancato